Eresie monoteiste nella Tarda Età del Bronzo? - Blog di Archeologia
Culti esclusivi
Per millenni la natura enigmatica della religione egizia, popolata di una moltitudine di dèi dalla varia forma, umana, animale e perfino mista, ha suscitato lo stupore degli osservatori esterni: già nel II sec. e.v. l'autore latino Luciano schernisce senza pietà questo polimorfismo, mentre nell'Ottocento si fa strada tra molti studiosi cristiani l'idea (errata) di un sostanziale monoteismo, sostenendo che le molteplici divinità non fossero altro che manifestazioni di un unico dio primordiale. La concezione religiosa egizia è molto più complessa, tanto che al massimo si potrebbe parlare di enoteismo, ovvero la preminenza di una divinità sulle altre, per lo meno in alcuni periodi storici o nel cuore dei fedeli, che si rivolgono al proprio dio tutelare o a quello preposto all'oggetto della preghiera esaltandolo, ma solo momentaneamente, al di sopra di tutti gli altri.
Anche la religione degli Ittiti, altro grande impero del Vicino Oriente antico, è caratterizzata da una molteplicità di divinità raccolte nel tempo dalle varie culture con cui sono venuti in contatto, definite in antico come "i mille dèi del Paese di Hatti", anch'essi divisi in gruppi e famiglie, grandi dèi e piccoli dèi, che presentano alcune caratteristiche molto umane unite a pochi elementi distintivi. Anche qui troviamo delle divinità tutelari, scelte da ciascun fedele come dal sovrano per un culto più personale, tra cui il dio tutelare per eccellenza Kuruntya, raffigurato come un cervo o un cacciatore o ancora dal sumerogramma Lamma, nome che però spesso è usato anche per altri dèi scelti come tutelari.
La forma di culto introdotta da Akhenaton è stato spesso definita una "rivoluzione monoteista", termine che non si può riferire a tutto il periodo del regno e va comunque preso con cautela. Riguardo a quello che viene spesso considerato un termine di paragone, il sovrano ittita Muwatalli II, si possono solo avanzare ipotesi. L'uno prediligendo il Sole, l'altro la Tempesta, per motivi sia culturali che pratici, sono stati visionari autori di un epocale quanto effimero cambiamento nei rispettivi culti. In ogni caso, l'autentico monoteismo è ancora lontano nel tempo.
L'egitto di Akhenaton
La seconda metà del XIV secolo a.e.v. vede in Egitto un cambiamento che coinvolge molti aspetti della vita. Già i precedenti sovrani Tuthmosi IV e Amenhotep III avevano precorso alcuni dei tratti tipici della cosiddetta "eresia amarniana": l'ascesa del dio Aton all'interno del pantheon e il nuovo stile iconografico che accentua alcune forme, soprattutto le labbra carnose, gli occhi sottili, l'ampio punto vita e le gambe tozze, in parte riprendendo uno stile decorativo arcaico, sono il punto di partenza di quella che si configura come una rivoluzione totale, religiosa e culturale.
Amenhotep IV, in seguito noto come Akhenaton, vissuto tra il 1352 e il 1336, sale al trono del padre Amenhotep III nella capitale Tebe in un ambiente culturale già profondamente evoluto rispetto all'inizio del Nuovo Regno, scegliendo di portare avanti, estremizzandolo, l'operato del padre e del nonno, con passi graduali e ben pianificati.
Nel quarto anno del regno, il sommo sacerdote di Amon, il dio più importante del pantheon, viene mandato in spedizione in una cava di pietra nel deserto unicamente per allontanarlo dagli avvenimenti della capitale. Sebbene fosse normale per i sacerdoti avere anche altre competenze, essere inviati nel bel mezzo del nulla era comunque una punizione inaspettata per un individuo scomodo e troppo potente. Nel frattempo, Amon viene rimpiazzato da Aton a guida degli dèi e gli viene costruito un tempio nell'antico luogo sacro di Karnak. Akhenaton, il cui nome regale è Amenhotep (IV), mantiene ancora per un anno il nome del padre prima di farsi chiamare "Utile ad Aton" e assegna un ruolo privilegiato, oltre che ad Aton, anche ad altre divinità solari, come Ra, anche nella forma di Harakhty, e Shu. Sopravvivono anche i sincretismi già noti, tra cui Ra-Harakhty-Aton in forma di falco, che diventa parte della titolatura del dio Amon in quanto "signore del mondo". Anche il regno dei morti viene coinvolto nell'ascesa alla luce: Osiride e Sokar vengono prima accolti nella luce del dio sole, poi eliminati dall'immagine del cosmo. Il pantheon viene quindi progressivamente ristretto alle sole divinità solari, con una politica attentamente programmata. Egli si pone in continuità nelle forme convenzionali della fraseologia negli inni e nelle immagini letterarie, ma anche nell'iconografia, a cui però dona una luce nuova, rimpiazzando progressivamente i vecchi stilemi e i culti tradizionali con l'immagine permeante del Sole, che alla lunga diventerà insopportabile per il popolo egizio.
La terribile epidemia che per più di vent'anni falcidia il regno ittita si diffonde anche in Egitto e in tutto il Vicino Oriente. I territori siriani sotto il controllo del faraone non sono più gestibili: essi acquistano l'indipendenza o ricadono nell'orbita nemica, mentre il regno si richiude in se stesso, con pochi interventi all'esterno.
Tra il sesto e il nono anno di regno si attua la costruzione della nuova capitale Akhetaten, nel sito moderno di Tell el-Amarna, tra la capitale Tebe e la città di Menfi. È lo stesso dio Aton ad ordinargli di trovare un terreno vergine e incontaminato in cui fondare la sua città processionale nel deserto, luogo che più di tutti esalta la potenza del sole. Il territorio scelto viene delimitato da 16 stele di confine, che spiegano la decisione sia con un testo che per immagini. L'architettura monumentale (è uno dei pochi insediamenti archeologicamente scavati) viene realizzata in poco tempo grazie ad una nuova tecnica costruttiva inventata per l'occasione, i piccoli e maneggevoli blocchi in pietra detti talatat, decorati con scene di vita quotidiana, colori vivaci e rilievi plastici. Il sovrano vi trasferisce tutta la corte, oltre all'importantissimo archivio in cui è conservata anche la corrispondenza internazionale e in cui si elabora una nuova forma linguistica, il neo-egiziano, meno artefatto e più vicino al parlato, che diventa lingua letteraria. La sfarzosa città viene costruita a caro prezzo: in uno dei cimiteri, quello meridionale (uno dei pochi noti contenenti i corpi di persone comuni), si trovano moltissime sepolture di bambini e adolescenti, affetti dalla malaria che era endemica e non li risparmiava neanche nel deserto, seppelliti in fretta, che presentano carenze proteiche e un'altezza più bassa della media, indice di grave malnutrizione, derivata probabilmente dalla carestia causata dalla pestilenza.
Aton riceve nuovi titoli e definizioni accurate: non è più associato a Harakhty né dunque rappresentato più come falco, ma questo aspetto viene sintetizzato in "signore dell'orizzonte", che era attributo dell'antico dio. È questa la prima volta in Egitto in cui la molteplicità del divino viene ricompresa in una solo aspetto, quello solare. Aton, prima dio "senza uguali", diviene un dio "senza nessun altro oltre a sé": non un dio esclusivo, ma un dio geloso, che non tollera la presenza di altri dèi nel cuore dei fedeli, che continuavano però a ricevere un culto privato. Gli scalpellini si affrettano a cancellare il nome di Amon e di altri dèi dai monumenti in Egitto e nelle province dell'impero, l'antica parola nṯr (letta neceru), che fin dagli albori della religione egizia indicava la divinità, viene ora evitata, soprattutto in forma plurale, come tutto ciò che non si accorda con la natura di Aton: la notte, la morte, la ricca cultura mitologica vengono omessi dagli inni. La natura di Aton rende visibile a tutti il suo effetto sul mondo nella sua manifestazione giornaliera, ma è accessibile nella sua essenza solo attraverso lo sforzo intellettuale, operabile unicamente dal sovrano e dai sacerdoti da lui stesso istruiti: è necessario quindi un mediatore, il cui ruolo è sempre più importante a partire dal Nuovo Regno tale da rendere potentissima la casta sacerdotale, in quanto il dio è così lontano da essere impenetrabile; ora però non si tratta più della mediazione di statue nel tempio, animali sacri o morti divinizzati, il cui messaggio è interpretato dai sacerdoti, ma è l'esclusivo intervento del re che rende possibile comprendere la volontà del dio e portare dogmaticamente il suo "insegnamento" nel mondo, che per la prima volta include non solo il regno egizio ma anche gli stranieri, benedetti dal dio universale.
Ogni giorno il re esce dal palazzo sul suo carro, percorre la via reale per raggiungere il palazzo della Grande Sposa Nefertiti, con la quale si reca al grande tempio dell'Aten, un recinto aperto (come già nell'Antico Regno) al centro del quale si trova un podio su cui sale a pregare il dio sole alla presenza del pubblico spettatore: il culto avviene letteralmente "alla luce del sole", non più nascosto nei templi a cui il popolo non può accedere. Si è ipotizzato che anche l'insistenza negli ampi spazi all'aperto potesse essere derivata dalla volontà di limitare il contagio, che non dà tregua.


L'iconografia si evolve da quella della generazione precedente, con elementi nuovi: volto equino e allungato, naso lungo, labbra carnose, orecchie sproporzionate, collo lungo, corpo deforme e quasi androgino con i fianchi ampi di chi è il simbolo della prosperità nel Paese, sono le nuove forme scelte dal re per rappresentare se stesso e la famiglia reale, corredate per la prima volta dall'abbronzatura, naturalmente tipica della pelle egizia ma ora enfatizzata come caratteristica di un vero fedele del dio sole. Sono state anche avanzate ipotesi mediche riguardo a queste particolari forme rappresentative: potrebbe trattarsi di una malattia genetica, accentuata con il tempo dai matrimoni tra consanguinei tipici della famiglia reale, come la sindrome di Fröhlich o la sindrome di Marfan, oltre ad una forma di epilessia. Le scene che rappresentano il sovrano si fanno più intime e raccolte: la famiglia reale, composta dal faraone insieme alla moglie Nefertiti e ai figli, è protagonista di scene di tenerezza alla presenza del disco solare, che letteralmente abbraccia con i suoi lunghi arti gli astanti. L'osservazione della natura, benedetta dai raggi benevoli, si fa più precisa, nell'arte come nelle descrizioni letterarie, mentre nello spirito naturalistico viene realizzato anche il famosissimo busto di Nefertiti, il cui splendido viso è come sempre baciato dal sole. Il nuovo status symbol prevede una bella casa con giardino e un laghetto dove gli amanti, il cui sentimento è un dono divino, si incontrano sussurrando dolci poesie, che ci sono giunte.

Quando nel dodicesimo anno di regno si celebra un'importante festa religiosa esplodono di nuovo i contagi, e in pochi anni muoiono forse la regina Nefertiti, di certo la regina madre Tiye, molte principesse e membri della corte; alla sua morte, dopo un periodo confuso di successione, il figlio Tutankhamon eredita un Paese in rovina, con templi abbandonati e il grande male che continua a colpire la popolazione: gli dèi hanno abbandonato quei luoghi, al giovanissimo faraone l'arduo compito ricostituire il rapporto con le divinità perdute, e con esso l'ordine cosmico, la maat.
Il cambiamento di pensiero è stato troppo grande per il popolo egizio, erede di una cultura millenaria: la molteplicità e la polivalenza della natura divina sono troppo radicate, i miti, i rituali e le credenze troppo permeanti per essere dimenticati in pochi anni. La restaurazione degli antichi fasti inizia subito dagli dèi: vengono restaurati i templi smontando mattone per mattone la città di Akhetaton, sono ristabiliti gli antichi culti e i poteri dei sacerdoti, alle cui velleità e trame prima occulte il faraone bambino non è in grado di opporsi. Passano però decenni prima che il nome di Akhenaton divenga esso stesso oggetto di damnatio memoriæ, il suo influsso nell'arte continua ancora più lungo, mentre Aton resta a capo del pantheon ancora per qualche anno per consentire un passaggio graduale, ma non sarà mai perseguitato.
L'impero ittita di Muwatalli
Muwatalli II è stato uno dei più importanti sovrani del regno ittita, vissuto tra il 1320 e il 1272 a.e.v. circa. Grande statista e condottiero (è protagonista della battaglia di Qadesh), anch'egli, non molti anni dopo Akhenaton, prende la decisione di abbandonare ufficialmente la storica capitale del regno, Ḫattuša, poiché "quel luogo era maledetto" dalla grande pestilenzache aveva colpito il regno ai tempi di suo padre (che già aveva trasferito altrove la corte ma non l'impianto amministrativo) e di suo nonno (che proprio di quel male era morto), lasciandovi al governo ufficialmente lo zio e successore Ḫattušili (III), ma all'atto pratico probabilmente essa resta in mano ad un personaggio di nome Muttannamuwa, definito "capo degli scribi", un titolo che indica soprattutto funzioni giudiziarie; la città, anche quando il figlio di Muwatalli Muršili III vi riporterà la capitale, non tornerà più agli antichi fasti.
Muwatalli si spinge ancora più a sud del padre per porre la propria capitale, fondando una città ex novo dedicata al dio della tempesta, chiamata Tarḫuntašša. Essa doveva trovarsi nell'attuale regione di Mersin, nell'Anatolia meridionale, secondo alcuni identificabile con il sito già indagato di Hatip, ma l'interpretazione non è universalmente riconosciuta, perciò resta ufficialmente non individuata, creando anche un grosso problema storico-archeologico: è infatti uno dei periodi meno noti della storia ittita. In seguito, la città diventerà la capitale di un omonimo regno indipendente, affidato ad un membro della famiglia reale ittita. La sua etimologia significa "città del dio della tempesta", divinità suprema chiamata Taru in lingua hattica o Tarḫunt in lingua luvia, con l'aggiunta del suffisso luvio -ašša utilizzato nei toponimi; stessa origine si può attribuire al nome ittita dell'omerica Troia (Taruisa). Nel territorio quindi probabilmente si parlava la lingua luvia, un ceppo indoeuropeo differente da quello ittita ma con esso imparentato, il cui utilizzo cresce nel corso del Nuovo Regno Ittita, con implicazioni culturali notevoli.
La decisione di spostare la capitale può aver avuto diverse motivazioni. Innanzitutto, in tal modo si avvicinava alla Siria, confine del regno e teatro di guerra con l'Egitto, avendo così la possibilità di seguirne più da vicino gli sviluppi, controllare gli alleati e perdere meno tempo in spostamenti. In secondo luogo, la vecchia capitale Ḫattuša era stata devastata dall'epidemia, forse di nuovo intensificata dopo la battaglia di Qadeš, che aveva messo in crisi l'economia della regione per mancanza di manodopera e conseguente carestia, un problema molto stringente in un'area montuosa che già normalmente aveva difficoltà a reperire risorse; l'area era poi piuttosto vicina al nord del Paese, maggiormente colpito dalla pestilenza e spesso oggetto di attacchi da parte dei nomadi Kaška. Con tutta probabilità, inoltre, egli preferiva sottrarsi a quello che era un luogo di intrighi di corte, portati avanti in gran parte proprio dallo zio Ḫattušili, ansioso di guadagnare potere, parzialmente accontentato con l'attribuzione di titoli prestigiosi, che non bastano però a placarlo. In ultimo, alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che Muwatalli volesse in un certo modo emulare Akhenaton nella grande impresa architettonica ed ideologica da questo realizzata.
Muwatalli sceglie come nume tutelare della città e del suo regno il dio della tempesta, già divinità principale di tutti principali panthea di cui è composta la cultura religiosa ittita (hattico, luvio, palaico e hurrita), sempre alle prese con l'aridità dei suoli montani e desertici, insieme alla sua paredra, la dea sole (che è femminile, diversamente dalle altre religioni del Vicino Oriente antico), ma preferisce la forma particolare di Piḫaššašši, il "tonante", dio dei tuoni di ambito luvio, documentato ora per la prima volta. Purtroppo il fatto di non aver ritrovato la capitale rende difficile qualsiasi interpretazione, ma alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi dell'abbandono del politeismo da parte del sovrano per operare una forte innovazione religiosa in senso monoteistico o almeno enoteistico.
Il sovrano ittita, com'è noto, aveva un'importante ruolo religioso: egli era infatti il sommo sacerdote, impegnato nelle principali feste religiose che richiedevano anche lunghe processioni di città in città, rituali, preghiere e libagioni. Egli, proprio come il faraone egizio, si occupava del buon rapporto con gli dèi, il che garantiva il benessere del popolo e la prosperità del regno.
Per la prima volta nella storia ittita, però, un sovrano si fa raffigurare su un rilievo, e lo fa in vesti sacerdotali. Nel rilievo del santuario rupestre di Sirkeli, inciso a 5m d'altezza sul livello del fiume sottostante, egli è mostrato con l'abito lungo, il copricapo a calotta e lo scettro ricurvo, elementi tipici dei sacerdoti. L'accompagna un'iscrizione in geroglifico anatolico e in lingua luvia che l'attribuisce a "Muwatalli, Grande Re, l'Eroe, figlio di Muršili, Grande Re, l'Eroe". Nella parte posteriore della superficie rocciosa si trovano due rientranze artificiali, probabilmente legate a cerimonie di libagione, le quali saranno certamente state accompagnate da preghiere, rituali e sacrifici studiati apposta per l'occasione. Queste rientranze facevano parte di un'installazione cultuale più grande che comprendeva anche un edificio a ovest dei rilievi, dove doveva avvenire la gran parte delle celebrazioni.


Muwatalli inoltre inaugura un nuovo tipo di sigillo, detto in tedesco Umarmungsiegel, in cui il sovrano è raffigurato nell'atto di essere abbracciato dal dio Tarḫunt-Piḫašašši, riconoscibile dal copricapo cornuto, tipico attributo divino. Anche in questo caso il sovrano è dotato di abiti e oggetti sacerdotali, riconfermando il suo forse accresciuto ruolo religioso, non solo nell'ambito delle celebrazioni ma anche in altri aspetti della vita amministrativa in cui il sigillo era impiegato.
La carenza di informazioni, soprattutto perché l'archivio reale non è stato ritrovato, e la restaurazione seguita alla sua morte e alla complessa successione rendono difficile dire se il cambiamento religioso si sia estrinsecato solo in un più attivo ruolo del sovrano come sommo sacerdote del dio tutelare o se ciò abbia implicato anche notevoli modifiche teologiche culminate in un crescente enoteismo: la teoria, seppure affascinante, non può ancora essere del tutto provata.
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