La Venere di Tolentino: la donna lupo tra archeologia e mito - Blog di Archeologia
Si tratta di un ciottolo alto 12,5 cm su cui è raffigurata una figura femminile in parte umana e in parte animale, forse un lupo oppure un grosso erbivoro, caratterizzato tramite la testa e il pelo, con le braccia incrociate. Sul retro è rappresentata una testa bovina e un’altra figura appena accennata, rovinata dalla scheggiatura, che ne dimostra l’uso come percussore, attestato con utilizzo simbolico e rituale in altri casi dello stesso periodo. È stata rinvenuta a Tolentino (MC) nel 1884, ed è ora conservata presso il Museo archeologico nazionale delle Marche, ad Ancona. Secondo gli studi, risalirebbe al tardo Paleolitico superiore, ovvero circa al 12.000-10.000 a.e.v., alla fine dell’Era glaciale.

La particolare rappresentazione dell’unione dell’elemento femminile con quello naturale e animalesco, è probabilmente legata allo sciamanesimo, come suggerito dall’utilizzo rituale, forse apotropaico, dell’oggetto come percussore, ma si potrebbe anche pensare essere la prima immagine nota di quella che sarà in epoca classica e soprattutto medievale, ma non solo, l’idea del licantropo (dal greco λύκος e ἄνθρωπος), l’uomo lupo che rappresenta un rapporto più o meno conflittuale dell’essere umano con questo astuto e feroce predatore.
Questo animale viene talvolta demonizzato, soprattutto dai culti di matrice solare legati alla caccia, talvolta invece riabilitato per le sue qualità, principalmente dai culti di matrice lunare legati alla fertilità, ad esempio nei riti sciamanici come animale totemico o nell’addomesticamento che ha portato al cane domestico, ma anche visto come nemico che insidia le greggi, indizi del mutato rapporto che si è avuto con il passaggio da gruppi di cacciatori-raccoglitori a comunità stanziali e successivamente, forse con le migrazioni che portarono all’avvento dell’Età del Bronzo Antica, nella transizione dai culti femminili/lunari a quelli maschili/solari (in alcune culture questa associazione è invece invertita).
La funzione che il lupo assume nell’immaginario archetipico dell’essere umano in ogni epoca è quella di solitario e individualista guardiano di una simbolica soglia, e quindi di natura ctonia e di psicopompo (traghettatore di anime), quasi telepatico, personificazione degli istinti ingovernabili e di illecite trasgressioni e punizione per essi, indomito e vorace rappresentante sia di forze oscure e primordiali che portano all’instabilità e infine alla distruzione, legato ovviamente alla paura ancestrale per il bosco come luogo pericoloso per eccellenza ma da affrontare ad ogni costo per procacciarsi il cibo, ma assume anche il ruolo di propiziatore della fecondazione e protettore delle future madri, di guaritore nello sciamanesimo in quanto liminale al mondo degli spiriti, oltre che di guida al rispetto della legge interiore e protettore per chi si dimostra meritevole, richiedendo a chi lo segue il coraggio di una profonda introspezione e ricerca di verità per affrontare le paure più recondite, in modo da trovare la propria strada e quindi ottenere la libertà. Nell’unione, non facile neppure nel mito, con l’essere umano si discerne tutta la complessità di questo rapporto.
Un rapporto che ha assunto, nel bene e nel male, numerosissime forme anche nella letteratura e nel mito di molte culture unite o divise dal tempo e dallo spazio: si pensi ad esempio alla metamorfosi punitiva del mitico re Licaone (già in Ovidio) e quelle temporanee degli dèi Zeus e poi Latona (nativa della Licia, regione dell’Anatolia il cui nome già richiama l’animale) e del loro figlio Apollo (Febo Lykos: famoso era il suo bosco sacro ad Atene, presso cui Aristotele teneva le lezioni, alle quali si diede il nome di Liceo), alla lupa di Romolo e Remo, al motto latino citato anche da Hobbes ed Erasmo da Rotterdam homo homini lupus, al mitologico lupo antenato di Gengis Khan come dei popoli pre-romani degli Irpini, dei Lucani e degli Irpi-Sorani, popolo laziale dedito a culti ctonii (come già nel nome) fondatore dei Lupercalia, riti di purificazione per assicurare la protezione delle greggi celebrati da sacerdoti coperti di pelle di lupo, oltre che dei nativi americani della tribù dei Pawnee e del re spartano Licurgo, al dio ctonio etrusco Shuri, poi chiamato Aita (Ade), talvolta raffigurato vestito di una pelle di lupo che lo rende invisibile, e al mostro Olta che il mito-storico re etrusco Porsenna ricacciò con un fulmine nel pozzo da cui proveniva, al re babilonese Nabucodonosor che, racconta la Bibbia, fu trasformato in questo animale, alla fiaba di Cappuccetto Rosso, i Tre Porcellini e molte altre, al crudele dio lupo norreno Fenrir, cavalcato da Odino in battaglia, che infine divorerà il mondo, e ai suoi figli che inseguono il sole e la luna, alla perfida regina-strega che si trasforma in lupa nella Saga dei Völsungar e ai suoi avversari costretti a farlo anch’essi, ai mitici ma anche storici guerrieri vichinghi berserkir che, coperti della pelle di questo animale, si credeva potessero incarnarne lo spirito in battaglia, ad una delle fiere della Divina Commedia di Dante, e perfino al dio egizio Anubi, seppure in forma di sciacallo, fino ad arrivare alle molte attestazioni nel folklore e nei proverbi anche italiani, con sfumature per lo più negative, ai riti di fertilità (quindi di accezione positiva) legati al lupo in Anatolia e in Russia presenti fino ad epoche recenti, come quelli dei nativi americani Navajo, Cheyenne e altri per le cerimonie di guarigione e propiziatorie alla caccia, e ai numerosi casi di condanne a morte, nel Medioevo (unico per l’epoca il caso, dal finale positivo, del lupo di Gubbio ammansito da San Francesco) e per tutto il Rinascimento e l’Età moderna, nell’ambito della caccia alle streghe e agli eretici in genere, con l’accusa e la confessione sotto tortura di aver ucciso e divorato i propri concittadini sotto il malefico influsso del plenilunio (per i pochi più probabilmente colpevoli si trattava forse di semplici serial killer), la cui precisa mitologia è stata nota, oltre che in Europa, anche presso molti altri popoli dell’Asia e del continente americano, e il cui fascino oscuro riecheggia ancora oggi nella letteratura e nel cinema.
Il licantropo o, con piccole differenze, il lupo mannaro, secondo questi miti, sarebbe un uomo o raramente una donna in grado, più o meno consapevolmente, di trasformarsi in lupo soprattutto al sorgere della luna piena, a causa di maledizioni di streghe o di comportamenti scorretti propri o durante il concepimento, e si accompagnerebbe, nella maggior parte dei casi, ad un comportamento particolarmente violento, annientabile, quasi sempre, solo con la morte del “mostro”, magari con un’arma d’argento o con l’essenza della pianta di aconito (in inglese wolfsbane, “veleno/rovina dei lupi”), ma esisterebbero anche rimedi di natura salvifica. L’assenza dell’aspetto della trasformazione è rara e legata alle culture più arcaiche, mentre il mito, come spesso accade, si è caricato di aspetti e sfaccettature man mano che si sedimentava nell’immaginario, mutando anche gli elementi più caratteristici. Talvolta il lupo è perfino sostituito con un altro animale accomunato da aspetti archetipali simili, appartenendo quindi allo stesso filo conduttore.
Al di là delle rappresentazioni mitologiche, già molti di questi popoli erano consapevoli che questa terribile condizione fosse da imputarsi ad una qualche malattia più che ad entità sovrannaturali: i Romani ritenevano che fosse un disturbo psichiatrico, peraltro Galeno (ma non è l’unico) nella sua Arte medica ne definisce i sintomi e la cura come qualsiasi altra malattia, mentre i nativi americani sostenevano che fosse una malattia o maledizione portata dai coloni, i quali, viceversa, credevano che fosse dovuta al contatto con i nativi, ma dai presupposti razionali. Ciononostante il clima di terrore e isteria che si instaurava con l’ignoranza e il sospetto ha mietuto molte più vittime dei fantomatici “uomini lupo”.
Ad oggi, nonostante alcuni tentativi più o meno seri, la licantropia non è stata inquadrata come disturbo per carenza di dati scientifici, ma appare piuttosto chiaro che si tratti di una forma di delirio, definito “zooantropico” (la cosiddetta “licantropia di Nabucodonosor”), che si esprime in disturbi della personalità di tipo paranoide o forme di psicosi, rappresentato dalla convinzione patologica di potersi trasformare in un animale del tutto o in parte, solo psicologica e non certo corroborata da riscontri fisici, come per secoli si è creduto, oppure addirittura combinata o sostituita dall’ipertricosi, una malattia congenita che ricopre il corpo di folto pelo lanuginoso, resa famosa in epoca moderna dalla coraggiosa sensibilità delle fotografie di Diane Arbus.
“Il lupo è sempre sotto accusa, colpevole o meno che sia.”
ZENOBIO, SOFISTA DEL II SECOLO E.V.
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