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Muršili II, il re forte nella tempesta - Blog di Archeologia

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Muršili II, il re forte nella tempesta - Blog di Archeologia

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Le colpe dei padri ricadono sui figli

Muršili II sale al trono di Hatti intorno al 1330 a.e.v. È una delle poche date certe che possiamo ricostruire per la storia ittita, perché egli stesso ci informa che nel decimo anno del suo regno si verificò un'eclissi di sole, dalla cui cronologia certa del nemico storico, l'Egitto, possiamo ricavare per questo evento la data del 1320 circa.

Muršili sale al trono in un Paese devastato da una grave pestilenza. Suo padre Šuppiluliuma è stato un grande condottiero: preso il potere con un colpo di stato, ha conquistato il forte regno di Mitanni e in parte la confederazione di Arzawa, ha intessuto alleanze e ha tenuto testa all'Egitto di Akhenaton conquistando gran parte della Siria del nord fino a Qadeš, sottomettendo molti piccoli ma strategici regni, tra cui l'importante porto di Ugarit, la città di Karkemiš sul confine dell'Eufrate, la ricca Aleppo e la malfidata Amurru, ponendo sul trono i suoi stessi figli o dei consiglieri fidati. Ma proprio da questi territori lontani riporta a casa un male terribile, incurabile, veicolato dai soldati contagiati dai prigionieri egizi, che decima la popolazione, e che uccide il sovrano stesso, seguito a breve dal figlio ed erede Arnuwanda II e probabilmente da altri membri della famiglia reale, mentre il giovane Muršili, all'epoca ancora capo delle Guardie Reali, assiste impotente.

Per quasi 25 anni il regno è falcidiato da questo male, a cui non si trova soluzione. Gli ittiti non erano esperti di medicina, ma preferivano affidarsi a medici stranieri, egizi o babilonesi, che avevano affinato questa disciplina ottenendo risultati, che in alcuni casi, sono validi ancora oggi, seppure ammantati di una forte religiosità che sfocia in rituali magici. Sono gli egizi, anch'essi colpiti dall'epidemia, a descriverne caratteristiche e rimedi, anche se il termine resta generico, il "male asiatico" che "annerisce il corpo con pustole nere", che curano con olio di moringa (ancora oggi chiamata "albero miracoloso") e fuliggine: nero fumo contro il nero delle piaghe, il tutto con l'aggiunta di un'invocazione al dio Seth, divinità ambigua, spesso maligna, ma che si credeva aver scacciato gli invasori Hyksos dal Paese. Studi sulla mummia di Ramses V porterebbero a pensare che si sia trattato di vaiolo, con focolai mai sopiti che si sono ripresentati successivamente, essendone stato affetto lo stesso Ramses, ma ci sono anche altre ipotesi, come la peste bubbonica o malattie respiratorie (tubercolosi o tularemia); di certo si trattava di una malattia con tempi di incubazione piuttosto lunghi: almeno 3-4 settimane, il tempo di tornare dalla Siria all'Anatolia settentrionale, ma forse fino a due anni. Nella visione dell'epoca, comune a tutto il mondo antico, erano gli dèi ad inviare calamità sugli uomini, in genere a causa di qualche grave colpa commessa dal sovrano, il cui ruolo più importante era quello di mantenere un buon rapporto con le divinità e garantire l'ordine cosmico da essi voluto: il sovrano li aveva in tal modo offesi, e la punizione doveva essere esemplare. Qual era stata quindi la tremenda colpa di Šuppiluliuma che ricadeva sul suo popolo e sul suo successore?

Muršili non trova pace, né soluzione. Interroga gli oracolari in molte occasioni, ma nessuna si rivela conclusiva. Fa scrivere allora due opere storiche, gli annali completi (purtroppo per noi frammentari) e gli annali decennali, in entrambi i quali ripercorre le campagne militari del padre, a cui egli stesso aveva partecipato come capo delle Guardie Reali, scandagliando le vicende in cerca di risposta. Gli dèi dovevano certamente favorire il padre, se lo avevano aiutato a vincere in tante battaglie! Ed anche lui, Muršili, avendo consolidato i territori conquistati, doveva certo essere protetto dagli dèi. Era opinione dell'epoca, infatti, che le guerre fossero una questione di puro appoggio divino: vincitore era colui che aveva dalla sua parte gli dèi, che favorivano colui che era nel giusto, cioè aveva un giusto motivo per muovere guerra, ad esempio il mancato rispetto da parte del nemico dei trattati o dei confini, fatto che necessitava una giusta punizione, come un qualsiasi reato o il venir meno alla parola data.

Ed eccole lì, in bella vista, le grandi colpe: esisteva un trattato di non belligeranza con l'Egitto, il cosiddetto (e per noi non meglio noto in quanto ne è l'unica menzione) trattato di Kurustama, che era stato violato. Ma non era l'unico problema: Šuppiluliuma si era macchiato anche dell'uccisione del legittimo erede al trono, Tudḫaliya il Giovane, ed esiliatone i fratelli a Cipro nel complotto che lo ha portato a prendere il potere come usurpatore, pur appartenendo alla famiglia reale (essendo infatti il cognato di Tudḫaliya il Giovane, era il prossimo nella linea di successione). Forse era meno grave che durante una festa religiosa ufficiale avesse mancato di fare offerte al dio del fiume Mala (l'Eufrate) un anno in cui era impegnato nella campagna contro l'Egitto?

Stabilite le colpe, esse vanno sanate, rinsaldando il rapporto con le divinità offese. Era inoltre un principio legislativo ittita che le colpe dei padri non dovessero ricadere sui figli. Perché quindi gli dèi continuavano a punire lui, Muršili, che era innocente, con questa epidemia senza fine, oltre alle conseguenze economiche, come la carestia, che ne derivavano?

Il re fa scrivere dai sui scribi almeno cinque preghiere ai "mille dèi" di Hatti e soprattutto alla divinità suprema, che gli è molto cara, il dio della tempesta Tarḫunt e alla sua paredra, la dea sole di Arinna. Sono preghiere molto toccanti, in cui si legge tutta l'angoscia per una punizione divina troppo terribile per l'entità del peccato commesso, che però vuole superare e farsi perdonare, ma non bastano, almeno per il momento, ad intenerire gli dèi e ad allontanare la pestilenza dal regno.

Non può mentire agli dèi, ma può farlo alla corte: dev'essere tutto un piano divino, perché il padre ha comunque vinto in Oriente. Si aggrappa a quest'idea nella propaganda pubblica, negli annali che vengono letti davanti a tutti i notabili e che verranno tramandati ai posteri.

La crisi permea ogni ambito della vita, mentre Muršili affronta anche una grande crisi di fede. Ha fatto tutto ciò che poteva, ma non è bastato. Una nuova ondata di contagi, anzi, probabilmente avviene durante la celebrazione della Festa dell'Autunno, un'importante festività che prevedeva il pellegrinaggio del re e della corte nei centri religiosi del nord, i più colpiti dalla malattia. Non resta quindi che spostare temporaneamente la corte più a sud e più lontano dall'epicentro, mentre il suo popolo continua a morire.

Non è l'unico a dover affrontare simili difficoltà: l'epidemia si diffonde anche in Egitto e in tutto il Vicino Oriente. Il faraone Akhenaton sposta la capitale, costruendone a caro prezzo una nuova su un terreno vergine, ufficialmente su richiesta del nuovo dio supremo Aton, ma quando nel dodicesimo anno di regno celebra un'importante festa religiosa esplodono di nuovo i contagi, e in pochi anni muoiono la regina Nefertiti, la regina madre Tiye, molte principesse e membri della corte; alla sua morte Tutankhamon eredita un Paese in rovina, con templi abbandonati e il grande male che continua a colpire la popolazione: gli dèi hanno abbandonato quei luoghi, al giovane faraone l'arduo compito ricostituire il rapporto con le divinità, e con esso l'ordine cosmico, la maat.

In Siria, probabile epicentro della malattia, a Biblo l'epidemia rende inopportuno accogliere dei rifugiati dalla vicina Sumur come richiesto dal faraone, ma le autorità tendono a minimizzare l'entità della malattia che falcidia gli uomini e i loro animali, Megiddo si trova costretta a richiedere l'aiuto militare egizio a causa di essa, anche a Cipro "la mano di Nergal (il dio dell'oltretomba) si è abbattuta" sulla sua casa e la sua nazione, costringendolo a trattenere per tre anni degli ambasciatori egizi, mentre a Babilonia una principessa egizia che aveva sposato il sovrano muore due anni dopo il suo arrivo di un misterioso male ignoto, forse lo stesso.

[...] O dio della tempesta di Hatti, o dèi, miei signori, succede sempre così: si sbaglia! Ed anche mio padre ha peccato e ha trasgredito alla parola del dio della tempesta di Hatti, il mio signore, ma io non ho affatto peccato. Succede sempre così: la colpa del padre ricade su suo figlio, e anche su di me la colpa di mio padre è ricaduta e ora l'ho confessata davanti al dio della tempesta [...]. E poiché ho confessato la colpa di mio padre, l'anima del dio della tempesta [...] si plachi di nuovo! Abbiate di nuovo pietà di me e mandate via di nuovo la pestilenza dal paese di Hatti! [...]

Sto facendo una supplica al dio della tempesta, mio signore, riguardo alla pestilenza: o dio della tempesta di Hatti, mio signore, ascoltami, fammi vivere! A te c[osì (mi rivolgo)]: un uccello si ritira nel nido e il nido lo tie[ne in vita] [...].”

(CTH 378 §11-12)

Gli intrighi di corte

Il sistema di successione ittita era piuttosto complesso: stabilito dal sovrano Telipinu con un famoso editto alla fine del XVI sec. a.e.v., ma basato probabilmente su consuetudini, prevedeva che alla morte del re salisse al trono il primo principe di sangue reale, in mancanza di questo il secondo o il marito della prima figlia del re. Accadevano quindi frequenti scontri, intrighi e omicidi tra i principi, come quello che ha portato sul trono il padre di Muršili, Šuppiluliuma, un problema di lunga data nel regno di Hatti, che forse ha contribuito alla sua caduta in prosieguo di tempo. La regina, invece, restava in carica con il titolo di tawananna fino alla sua morte, anche in caso di morte del marito, con un ruolo soprattutto religioso, ma spesso anche di influenza politica.

La pestilenza non è certo l'unico problema di Muršili: la regina, come una tipica matrigna cattiva, ordisce i suoi intrighi di corte. Non ne conosciamo il nome, poiché non è mai nominata, sappiamo però che era di origine babilonese, sposata da Šuppiluliuma nell'ambito di un sistema di alleanze nel pieno stile del tempo, che includeva trattati e matrimoni politici, in questo caso per assicurarsi l'aiuto di Babilonia in caso di necessità nello strategico accerchiamento del regno di Mitanni, aiuto che non si è rivelato necessario. Non è la madre di Muršili, ma è sopravvissuta al marito, restando in carica come regina, ruolo ingombrante che non manca di far pesare.

Muršili sopporta questa situazione finché può, ma la goccia che fa traboccare il vaso è la morte della sua amata moglie, Gaššuliyawiya, destinata a diventare a sua volta tawananna, per la quale non si dà pace. In una requisitoria, durante il processo che intenta contro la regina, egli accusa proprio quest'ultima di aver ucciso la sua sposa: di certo ha usato la magia nera! Mentre la magia "bianca" erano molto frequente e socialmente accettata, praticata sia in forma di oracoli di vario genere che di veri e propri rituali codificati, che costituiscono circa la metà della documentazione giunta fino a noi, la magia nera, ovvero quella utilizzata per nuocere ad altri, era un grave crimine punibile con la morte. Una malattia, se non inviata dagli dèi, era certamente causata dalla magia nera.

La malvagia regina avrebbe anche sottratto dei beni dello Stato, dilapidandoli per ottenere favori dai notabili di Babilonia, inviando loro dei doni preziosi, non in modo ufficiale come era d'uso per mantenere buoni rapporti tra nazioni, ma di nascosto, forse allo scopo di trovare una buona accoglienza nel caso di un suo ritorno in patria.

Muršili, come già altri re e secondo un topos ben noto, decide di comportarsi in modo liberale con la sua nemica: invece di far uccidere la matrigna come le leggi avrebbero voluto, la manda in esilio, sebbene concedendole terre, ricchezze e servitori affinché mantenesse lo standard di vita a cui era abituata, ma così lontana dalla capitale non avrebbe più potuto nuocere alla gestione dello Stato e alla famiglia reale.

Imprese immortali

Muršili, che aveva accompagnato il padre nelle sue campagne militari in Siria, già nei primi anni di regno ne consolida le conquiste, estromettendo dal potere i signori locali che non si erano comportati in modo trasparente durante la guerra, ponendovi sovrani più fedeli, come il figlio messo a capo del regno di Išuwa, o il notabile Benteshina che sul trono di Amurru sostituisce il re Aziru, il quale, preso tra due fuochi, ittita ed egizio, a cui non poteva sperare di opporsi, non aveva preso una posizione netta, facendo a tratti il doppio gioco, mentre un altro duro colpo lo ebbe nello stesso anno della moglie (il 1313 circa): la morte dei due fratelli, posti da Šuppiluliuma a capo dei regni strategici di Karkemiš e Aleppo, che sostituisce con fedeli generali per mantenere il controllo e contrastare i tentativi di espansione assiri.

Lotta anche contro i nomadi del nord, i Kaška, che da anni imperversano nei territori di quello che in età classica sarà il Ponto, ma che per la prima volta sembrano essersi radunati sotto un capo carismatico, che viene sconfitto e catturato, aprendo un periodo di tregua per le terre depauperate dai continui saccheggi.

Un'altra impresa importante di Muršili, compiuta anch'essa in gioventù, è la guerra contro la confederazione di Arzawa, che viene definitivamente smembrata. Arzawa era frequentata e molto probabilmente abitata da persone di Aḫḫiyawa, che vengono identificate con i Micenei. Dalle fonti archeologiche sembra certamente una vera e propria colonia micenea, ereditata dai Minoici, la città di Mileto (per gli Ittiti Millawanda), e forse Efeso (Apasa), città molto importante della confederazione, in cui gli Ittiti ci informano essere presente la corte del "re di Aḫḫiyawa": sappiamo però che i Micenei non avevano, con tutta probabilità, un regno unitario con un singolo capo, ma erano, appunto, una confederazione di piccoli territori e città stato, forse in alcuni momenti guidata dal sovrano di Micene, Pilo o Tebe, un primus inter pares, come suggerisce anche Omero; gli ittitologi però, basandosi soprattutto su fonti storiche, tendono ad essere più cauti sull'effettivo ruolo dei Micenei in Anatolia (gli stessi micenologi hanno dubbi sulle altre città in cui ne compare la tipica ceramica), anche perché gli Ittiti ce ne parlano solo in occasione degli attriti con il regno di Hatti, che cominciano solo sotto il regno di Tudḫaliya I/II o del figlio Arnuwanda I all'inizio del XIV sec. a.e.v. e proseguono con il padre di Muršili, ma la presenza di queste popolazioni doveva essere più antica.

Quando il re di Apasa (Efeso) Uḫḫa-Ziti si rifiuta di restituire dei fuggiaschi, si tratta del perfetto casus belli. Era una regola internazionale universalmente accettata in tutto il Vicino Oriente che chiunque oltrepassasse i confini non in belligeranza, per errore o volontariamente, dovesse esser estradato nel paese di origine, in quanto suo cittadino (e forza lavoro): era infatti frequente che i pastori per sbaglio superassero i confini, che viaggiatori tentassero una vita migliore altrove o che criminali e rifugiati politici tentassero la fuga negli Stati confinanti, spesso cercando riparo tra le tribù nomadi delle montagne. Uḫḫa-Ziti, che si fregia del titolo di re di Arzawa, non solo si rifiuta di restituire questi fuggiaschi ittiti, ma li imprigiona. Una giusta guerra si rende quindi necessaria per liberare gli ostaggi, di cui il re ittita si fa paladino.

Mentre Muršili marcia contro Apasa, un fulmine cade alle porte della città: viene interpretato come un segno favorevole per gli Ittiti, certamente favoriti dal dio della tempesta Tarḫunt, che gli apre la strada per la vittoria, mentre gli dèi nemici abbandonano i loro protetti. Uḫḫa-Ziti allora, secondo un topos della propaganda ittita già noto dal resoconto della precedente guerra proprio contro Apasa portata avanti da Arnuwanda I e da altri testi di varie epoche, preso dal panico fugge dalla città, lasciando moglie e figli al proprio destino, si imbarca su una nave in fretta e furia e si rifugia proprio nel paese di Aḫḫiyawa, suo alleato.

La ceramica micenea non è più attestata ad Efeso in questo periodo, confermando archeologicamente il racconto storico: sembra quindi che neppure i mercanti micenei vi giungessero più, tenuti alla larga dalla stretta ittita sul territorio. Muršili non fu liberale questa volta con i nemici: pose un suo parente sul trono di Apasa e lo stesso fece in altri piccoli stati della confederazione, cosa che però non bastò ad assicurarne la completa fedeltà, e soprattutto, introducendo un'usanza che divenne in seguito tipica degli Assiri e dei Babilonesi, deportò gli abitanti, in tal modo indebolendo fisicamente e culturalmente quelle terre e popolandone altre che necessitavano di più forza lavoro, la cui scarsità provocata dall'epidemia resterà un altro problema endemico del regno ittita, risolto solo attraverso nuove conquiste e nuovi schiavi, ma quando queste cessarono in prosieguo di tempo a causa dell'indebolimento del regno, l'unica soluzione restò ironicamente proprio la mancata restituzione dei fuggiaschi, causando le lamentele dei grandi regni vicini.

Al termine di tutte queste imprese e difficoltà, gli ultimi anni del suo regno furono tranquilli, la pestilenza forse passò e i nemici si quietarono. Dopo 27 anni di regno, gli succedette il figlio, altrettanto valoroso: Muwatalli II, avuto con l'amata moglie. Anch'egli sarà un grande avversario degli Egizi e anch'egli sposterà, questa volta ufficialmente, la capitale da Ḫattuša, poiché "quel luogo era maledetto" dalla pestilenza, che resterà un piccolo centro governato dallo zio Ḫattušili (suo successore), e si spingerà ancora più a sud del padre per fondare la nuova ma per noi ignota capitale dedicata al dio della tempesta, Tarḫuntašša, portando anche un forte rinnovamento religioso.

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