La donna romana e la donna etrusca - Blog di Storia (Storia / Archeologia Romana e Italica)
Pudica, lanifica, domiseda sono gli epiteti usati nelle iscrizioni funebri che i mariti romani dettavano in lode delle consorti, per le quali non concepivano funzione migliore del filare la lana e del custodire la casa (“domum servavit, lanam fecit”, si legge su un’altra iscrizione) fin dai tempi, storici o mitologici che siano, del famoso ratto delle Sabine in cui ciò faceva parte delle regole restrittive che esse imposero ai loro nuovi mariti per essere considerate delle signore e non poco più che schiave. Questa speranza venne presto disattesa, infatti la donna romana era considerata un essere inferiore, aveva pochissimi diritti ed era totalmente sottomessa prima al padre, da cui correva il rischio di non essere riconosciuta alla nascita e quindi abbandonata (“esposta”), poi ai fratelli e infine al marito, dai quali dipendeva anche per l’esercizio dei propri diritti, quali sposarsi, ereditare e fare testamento. Non poteva rappresentare interessi altrui, adottare né essere tutrice dei suoi figli minori. Era conosciuta al di fuori della famiglia solo con il nome gentilizio, con l’aggiunta talvolta di un numerale per distinguerla dalle sorelle o di un soprannome per le sue caratteristiche fisiche, cui si sostituiva o si aggiungeva il nome del marito. Raramente riceveva un’istruzione che andasse oltre saper leggere, scrivere e contare, poiché generalmente una donna che mostrasse troppa cultura poteva facilmente infastidire l’uomo romano. Ciò non le impediva di guadagnarsi un posto nella società svolgendo lavori piuttosto umili.
La donna etrusca aveva, di contro, un posto di tutto rispetto nella società. Essa, al pari degli uomini, viveva pienamente, usciva spesso, “senza arrossire”, come ci riferisce Tito Livio, era presente alle feste, ai giochi, alle danze, alle gare atletiche, ma soprattutto prendevano parte tutte, non solo le cortigiane, ai banchetti sdraiate accanto al marito o a un convitato (Aristotele afferma, non senza disapprovazione, che “gli etruschi banchettano con le loro mogli, sdraiati sotto la stessa coperta”). Ce lo confermano i monumenti sepolcrali e gli affreschi, in cui la donna etrusca compare accanto al suo sposo, anche a sottolineare il legame paritario che li univa. Questo era scandaloso per i Romani che non esitarono a bollare questa eguaglianza come indice di licenziosità e scarsa moralità da parte delle donne etrusche; addirittura dire “etrusca” era sinonimo di “prostituta”. La donna etrusca poteva trasmettere il proprio cognome ai figli, soprattutto nelle classi più elevate della società, essere titolare di attività produttive, poteva avere schiavi ed aveva diritto ad un nome completo. Aveva diritto ad una propria tomba ed era titolare di atti di compravendita e di successione ereditaria. Nella vita quotidiana il lavoro compiuto dalla donna aveva grande importanza ed essa si poteva senz’altro considerare la “regina della casa”, come si evince dai numerosi ritrovamenti di raffinate stoviglie nelle tombe. In molti casi gli specchi ritrovati nelle sepolture femminili recano i nomi dei personaggi raffigurati e talvolta anche quello della proprietaria dell’oggetto. È presumibile allora che la donna etrusca, se non altro quelle appartenenti ai ceti elevati, fosse in grado di leggere. E sì, anche lei sapeva tessere e filare. Un’altra cosa in comune con la donna romana era l’amore per i bei vestiti, per il trucco e per i gioielli. Molto probabilmente le donne etrusche ricoprivano anche cariche sociali e religiose, come sembra apparire da una pittura della Tomba degli Hescana di Orvieto. In base alle testimonianze archeologiche ed epigrafiche però, sappiamo che in Etruria, come nelle altre civiltà antiche, i diritti politici erano riservati ai soli cittadini maschi. Nell’ultima fase della storia etrusca, quando l’influenza culturale greca si fece sentire in modo più deciso nelle arti e sui costumi, le donne etrusche persero parte della propria indipendenza.
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